La crisi? Ma quale crisi? Anatomia della crisi economica regionale e del “negazionismo” che impedisce di contrastarla
Pubblichiamo qui sotto l'intervento di Sandro Fabbro*.
Provate a domandare a qualche vertice della politica regionale, al presidente di qualche associazione imprenditoriale, a qualche sindacalista in prima linea, a qualche direttore di giornale, a qualche rettore o professorone universitario, a qualche importante sindaco se, in questa regione, c’è o no (o almeno se c’è stata) una crisi economica. Provate! Vi risponderanno che, no! Non c’è stata e che se c’è stata è stata come per tutti (tutta Italia? Tutta Europa?).
Alle volte capita che qualcuno dell’élite dirigente si spinga a citare, come incipit dei suoi discorsi, la “più grave crisi dal dopoguerra”! Ma si accontenta dell’effetto retorico perché difficilmente ne trae conclusioni con effetti pratici, conoscitivi e propositivi. Ma sono soprattutto le massime istituzioni pubbliche, quelle deputate anche a dire alla gente come stanno le cose, che non rispondono, per “non alimentare polemiche populiste”. Ma molti, in questi anni, la crisi l’hanno invece duramente subita perdendo il lavoro o non trovandone, chiudendo l’azienda, vedendosi ridurre o azzerare i risparmi, anche decidendo di andarsene! Sempre a seguito della crisi, molti si sono ammalati, alcuni sono morti di crepacuore o si sono suicidati. Per la verità, qualcuno, in questi anni, ha cercato di dire la verità. Alcuni soggetti privati, spesso a titolo personale, hanno sostenuto pubblicamente che, sul territorio regionale, una crisi c’è stata eccome e che forse c’è ancora. Qualche imprenditore coraggioso, qualche politico fuori dai giochi, qualche sindacalista o qualche studioso in odore di eresia. Ma sono stati trattati come una setta semiclandestina. Il “negazionismo” della crisi (da sinistra e da destra) rimane ancora la lettura dominante. Se poi qualcuno, alla fine, una certa coscienza dei fatti la recupera, è per richiamarti subito ad un acritico ottimismo futurologico del tipo “Cosa vuoi farci! Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce 'o passato e guardiamo avanti”.
La mia tesi di fondo è, invece, che:
- in FVG, su una preesistente cattiva situazione demografica, si sono accaniti anche gli effetti recessivi della crisi degli ultimi dieci anni rischiando di portare la regione su una china inarrestabile;
- che, dalla “gabbia” della contrazione recessiva regionale, non si esce con politiche regionali ordinarie, ancorché buone e mirate, ma che
- ci vorrebbe una “grande spinta” per uscire dalla gabbia nella quale siamo intrappolati, basata sia su grandi energie morali sia su un massiccio piano di investimenti pubblici e privati.
- più vecchia e meno dinamica (contrazione del capitale umano);
- meno capace di innovazione (contrazione del capitale sociale);
- con un territorio meno attrattivo e più vulnerabile ai rischi (del cambiamento climatico ma anche di immigrazione incontrollata) e più costoso da gestire (contrazione del capitale territoriale). E dove anche la politica rischia di avvitarsi su sé stessa perché, più passa il tempo, più diventa difficile reagire a questa situazione. Situazione, questa, che rende inevitabili i conflitti tra territori per dividersi una torta in riduzione!
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