Skip to main content

Patto per l'Autonomia | Pat pe Autonomie | Pakt za Avtonomijo | Pakt für die Autonomie

logoefa mini

La crisi? Ma quale crisi? Anatomia della crisi economica regionale e del “negazionismo” che impedisce di contrastarla

10 Ottobre 2017
Pubblichiamo qui sotto l'intervento di Sandro Fabbro*. Provate a domandare a qualche vertice della politica regionale, al presidente di qualche associazione imprenditoriale, a qualche sindacalista in prima linea, a qualche direttore di giornale, a qualche rettore o professorone universitario, a qualche importante sindaco se, in questa regione, c’è o no (o almeno se c’è stata) una crisi economica. Provate! Vi risponderanno che, no! Non c’è stata e che se c’è stata è stata come per tutti (tutta Italia? Tutta Europa?). Alle volte capita che qualcuno dell’élite dirigente si spinga a citare, come incipit dei suoi discorsi, la “più grave crisi dal dopoguerra”! Ma si accontenta dell’effetto retorico perché difficilmente ne trae conclusioni con effetti pratici, conoscitivi e propositivi. Ma sono soprattutto le massime istituzioni pubbliche, quelle deputate anche a dire alla gente come stanno le cose, che non rispondono, per “non alimentare polemiche populiste”. Ma molti, in questi anni, la crisi l’hanno invece duramente subita perdendo il lavoro o non trovandone, chiudendo l’azienda, vedendosi ridurre o azzerare i risparmi, anche decidendo di andarsene!  Sempre a seguito della crisi, molti si sono ammalati, alcuni sono morti di crepacuore o si sono suicidati. Per la verità, qualcuno, in questi anni, ha cercato di dire la verità. Alcuni soggetti privati, spesso a titolo personale, hanno sostenuto pubblicamente che, sul territorio regionale, una crisi c’è stata eccome e che forse c’è ancora. Qualche imprenditore coraggioso, qualche politico fuori dai giochi, qualche sindacalista o qualche studioso in odore di eresia. Ma sono stati trattati come una setta semiclandestina. Il “negazionismo” della crisi (da sinistra e da destra) rimane ancora la lettura dominante. Se poi qualcuno, alla fine, una certa coscienza dei fatti la recupera, è per richiamarti subito ad un acritico ottimismo futurologico del tipo “Cosa vuoi farci! Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce 'o passato e guardiamo avanti”. La mia tesi di fondo è, invece, che:
  1. in FVG, su una preesistente cattiva situazione demografica, si sono accaniti anche gli effetti recessivi della crisi degli ultimi dieci anni rischiando di portare la regione su una china inarrestabile;
  2. che, dalla “gabbia” della contrazione recessiva regionale, non si esce con politiche regionali ordinarie, ancorché buone e mirate, ma che
  3. ci vorrebbe una “grande spinta” per uscire dalla gabbia nella quale siamo intrappolati, basata sia su grandi energie morali sia su un massiccio piano di investimenti pubblici e privati.
La cattiva situazione demografica pone già, il FVG, tra le cosiddette «regioni in contrazione» (gli studi in merito dicono il problema è internazionale e riguarda l’altra faccia, quella perdente, della globalizzazione): il tasso di crescita naturale della popolazione è da tempo negativo e colloca il FVG al 19esimo posto (su 20 regioni) in Italia. L’invecchiamento è quasi il doppio rispetto alla media europea. Lo spopolamento di città (Trieste: -26% e Gorizia -17% in 40 anni) e della montagna friulana (-30% circa, a seconda delle delimitazioni, in 40 anni), continua. Ma ciò che preoccupa di più oggi è l’emigrazione dei giovani migliori. La nuova emigrazione registrata all’anagrafe italiana residenti estero (Aire), è raddoppiata in Italia dal 2006 al 2015 ed è composta per la maggior parte da giovani. Questa però, in FVG, è pari al doppio (14%) di quella del Veneto (7%) e molto superiore alla media italiana (8%). Il FVG, quindi, non solo si spopola ma ha smesso di attrarre popolazione e, ora, anche di trattenere in loco la popolazione residente più giovane.  Su questa situazione e in un contesto produttivo che, già dai primi anni duemila, appariva piuttosto statico, si sono abbattuti gli effetti della crisi e della successiva recessione. È la regione del nord Italia che ha perso più Pil dal 2008 al 2015 (-11% a fronte di -8% in Italia ma dove il Trentino AA è cresciuto invece del 2,7) (dati Istat). Ha perso 34 posizioni per livello di Pil pro capite in Europa (è passata, dal 2008 al 2015, dalla 49esima posizione alla 83esima, su 275 regioni europee) (dati Eurostat). Il saldo imprese nate/morte, che fino al 2007 è sempre stato positivo, dal 2007 al 2016 diventa negativo per 7 anni su dieci (anche gli ultimi tre sono negativi): è una perdita complessiva di 6mila imprese (7% delle imprese regionali) (dati Unioncamere) che costituisce, a meno che non ci sia stato un grande processo di concentrazione che ha assorbito, in poche grandi, una  marea di piccole imprese (ma di cui non ci siamo accorti), una perdita secca di capitale imprenditoriale e che forse certamente non era tutto da buttare. Il saldo occupazionale (differenza tra assunzioni e cessazioni), nel periodo 2008-2016, è sempre negativo. Ma in FVG è anche molto peggio della media italiana (-3,8% in FVG; - 1,4% in Italia) e, in provincia di Udine, è peggiore (-6,5%) delle regioni del mezzogiorno (-5,9%) (dati Istat). Il giudizio finale che diamo qui forse contrasta con la narrazione dominante secondo cui vivremmo nel migliore dei mondi possibili, ma non è un’opinione, è un fatto: siamo andati peggio della media italiana e siamo crollati rispetto alle precedenti posizioni in Europa! I fondamentali, quindi, non paiono essere per nulla a posto: meno reddito, meno imprese, meno occupati ma anche meno qualità ed attrattività complessiva del territorio. Il noto ciclo economico negativo impatta anche sulle famiglie, sulla comunità e sul territorio generando la “contrazione” complessiva del sistema regionale. Se il FVG è una «regione in contrazione” (e di ciò, sia chiaro, non siamo affatto contenti), la prognosi è di una regione:
  1. più vecchia e meno dinamica (contrazione del capitale umano);
  2. meno capace di innovazione (contrazione del capitale sociale);
  3. con un territorio meno attrattivo e più vulnerabile ai rischi (del cambiamento climatico ma anche di immigrazione incontrollata) e più costoso da gestire (contrazione del capitale territoriale). E dove anche la politica rischia di avvitarsi su sé stessa perché, più passa il tempo, più diventa difficile reagire a questa situazione. Situazione, questa, che rende inevitabili i conflitti tra territori per dividersi una torta in riduzione!
Non è per colpa di un infausto destino! Da calcoli pubblicati (**) si può constatare che, nel periodo 2011-2017, si somma, a quanto detto, anche una contrazione della spesa pubblica degli enti locali e del bilancio regionale mediamente di oltre 1,4 miliardi l’anno. Tutti soldi, in un modo o nell’altro, trattenuti o trasferiti allo Stato per risanare il suo debito. È una spesa mancata, in regione, pari a circa 10 miliardi di euro (tra cui 3 miliardi circa “regalati” a Roma con i noti patti Tremonti-Tondo e Padoan-Serracchiani) di entità pari al doppio di quello che ci sarebbe spettato in termini di peso demografico nel Paese e che potrebbe spiegare la perdita di diversi dei punti di PIL regionale avvenuta in questi anni e la posizione, del FVG, peggiore della media italiana. E non si tratta solo di risorse in meno nella spesa pubblica regionale. La colpa vera è che nessuno, di coloro che dovevano farlo, si è accorto che eravamo in grave recessione e ha detto che le risorse regionali dovevano andare primariamente a finanziare massicce politiche anticrisi: dalle politiche di forte sostegno alla domanda interna e di rilancio dell’occupazione, alle politiche di forte sostegno alle famiglie, dalle politiche di rilancio dell’attrattività del territorio (turistiche, culturali, dell’agroalimentare ecc.) a quelle per organizzare e indirizzare un nuovo modello di sviluppo. Il nodo politico di fondo è, quindi, che i tagli ai bilanci pubblici locali hanno molto impoverito la regione (senza aiutare la riduzione del debito pubblico dello Stato che, nel frattempo, non è diventato più virtuoso di prima) ed hanno impedito anche il finanziamento di una forte politica di reazione alla crisi in atto. * Sandro Fabbro è professore di politiche urbane e regionali presso l’Università di Udine. ** Fonte: Associazione Friuli Europa. Clicca qui per visualizzare il documento.

Prossimi appuntamenti

Non ci sono eventi futuri